PROBLEMI COMPORTAMENTALI (Manuela Michelazzi)
Un nutrito pubblico di veterinari, studenti, addestratori, educatori e operatori dei canili ha partecipato all'incontro organizzato dalla Scuola di Specializzazione in Etologia Applicata e Benessere Animale, dedicato a un tema che va riscuotendo un interesse sempre maggiore: i problemi comportamentali del cane e del gatto. A parlarne, un nome di grande rilievo nel panorama della medicina comportamentale veterinnaria, la prof.ssa Diane Frank (DVM, Diplomata ACVB) dell'Università di Montreal (Canada).
I lavori si sono aperti con una breve introduzione del prof. Corrado Carenzi, direttore della Scuola di Specializzazione, e della prof.ssa Marina Verga, docente della medesima. Entrambi hanno sottolineato l'importanza di eventi come questo che offrono numerosi spunti di riflessione e di discussione e rappresentano un'occasione di crescita in un settore ancora giovane, ma che va ritagliandosi uno spazio e una connotazione ben precisi nell'attività clinica quotidiana.
Gara Palestrini, specialista in Etologia Applicata al Benessere presso l'Università di Milano, organizzatrice e chairman dell'evento, ha quindi introdotto la prof.ssa Frank che è immediatamente entrata nel vivo del discorso illustrando il suo approccio ai problemi comportamentali del cane e del gatto. Secondo la Frank, oggigiorno il veterinario deve affrontare un'ennesima sfida: occuparsi dei problemi comportamentali dell'animale. Per fare questo, è necessario tener presente che tutto quello che agisce sul corpo ha anche un impatto sul comportamento. Ma allora, come procedere? La prima cosa da fare è chiedersi se l'animale manifesta un comportamento che può essere definito normale o patologico. Quest'aspetto può essere verificato solo valutando l'animale nel suo insieme e soffermandosi in particolare su cinque punti: linguaggio posturale del paziente, sequenza comportamentale, contesto in cui si verifica il comportamento, frequenza e intensità del comportamento.
LINGUAGGIO POSTURALE
Diane Frank ha più volte sottolineato quanto sia importante imparare a leggere e a interpretare questo linguaggio. In campo umano, l'ansia viene definita come l'anticipazione di un pericolo futuro reale (paziente normale) o immaginario (paziente patologico). Questa definizione può essere utilizzata anche per gli animali. Molti di loro, quando varcano la porta di un ambulatorio, appaiono ansiosi proprio perche anticipano un pericolo (per esempio un'iniezione). Nei pazienti normali, in grado di cogliere la differenza fra una minaccia reale e una minaccia immaginaria, lo stato ansioso termina nel momento in cui vengono fatti scendere dal tavolo-visite o escono dalla porta della clinica. Altri animali, al contrario, sono continuamente in uno stato ansioso anche quando si trovano nel loro ambiente e in assenza di una causa identificabile. Il comportamento di questi ultimi è da considerarsi patologico ed essi soffrono di un disturbo correlato all'ansia. Questi animali manifestano lo stato ansioso attraverso tutta una serie di sintomi ben precisi: lecarsi le labbra, portare le orecchie all'indietro, tremare, tenere la coda abbassata o fra le gambe, ansimare, sbadigliare, abbaiare, continuare a camminare senza fermarsi, dilatare le pupille, non riuscire a rilassarsi, richiedere eccessivamente le attenzioni del proprietario, ecc.
Malgrado l'esistenza di sintomi facilmente identificabili, ogni animale esprime l'ansia o paura a modo suo e per tale motivo il proprietario deve imparare a osservare costantemente il linguaggio posturale del proprio cane e a interpretare tutti i sintomi correlati all'ansia o alla paura. Riuscire a riconoscere e interpretare questi segnali dà al cliente un maggior margine di intervento, in quanto gli consente anche di prevenire la comparsa di eventuali comportamenti indesiderati.
SEQUENZA COMPORTAMENTALE
Il comportamento è una sequenza che, se osservata nella sua interezza, consente di stabilire se un comportamento è normale o patologico. La sequenza è costituita da 3 o 4 fasi che, per esempio nel caso dell'aggressività canina, sono così suddivise: fase di avvertimento in cui il cane incomincia a ringhiare, azione (il cane morde), fase d'arresto (il cane rilascia spontaneamente la preda) e in alcuni casi, periodo refrattario. Il cane normale ha così comunicato e non ha bisogno di ripetere il messaggio più volte di seguito. Se tale sequenza risulta alterata nel suo ordine o alcune di queste fasi vengono omesse, ci si trova davanti a un animale il cui comportamento può essere definito patologico (per esempio un cane che ringhia e morsica contemporaneamente senza dare alcun altro tipo di segnale di avvertimento).
CONTESTO
Anche il contesto può essere utile per stabilire se un comportamento è normale. Un cane può inizialmente abbaiare o ringhiare quando vede una persona estranea che si avvicina. Quindi aspetterà per vedere la risposta dell'estraneo e, in base a tale risposta, deciderà se la persona rappresenta o meno una minaccia. Il comportamento successivo del cane dipenderà perciò dalla risposta ricevuta e dall'interpretazione che il cane ha fatto. Se invece un cane si precipita abbaiando e ringhiando verso qualsiasi persona che si avvicina, senza prima "domandare", tale comportamento diventa inappropriato e fuori dal contesto. Si tratta di un comportamento di default: "nel dubbio, attacco" e il cane che lo manifesta è incapace di fare una distinzione fra minaccia e assenza di minaccia.
INTENSITÀ
Un cane che caccia le ombre non ha necessariamente un problema comportamentale se in altre situazioni si comporta normalmente ed è capace di interagire con gli altri membri della famiglia (sia persone, sia animali). Se, al contrario, il cane ha focalizzato la sua attenzione quasi esclusivamente sulle ombre e ciò interferisce con le sue altre normali attività (alimentazione, gioco, sonno, interazioni sociali), tale comportamento risulta patologico.
FREQUENZA
Un cane che sfida un altro cane si aspetta una risposta. Se il ricevente si sottomette, colui che ha sfidato non dovrebbe generalmente ripetere la sfida. Se ciò si verifica (in un breve lasso di tempo e in situazioni simili), il cane che minaccia ripetutamente un altro cane che continua a sottomettersi è patologico. Un cane normale infatti non ha bisogno di dover porre ripetutamente la stessa domanda.
DISTINZIONE FRA COMPORTAMENTO NORMALE E PATOLOGICO
Un comportamento può essere, considerato patologico quando è fuori dal contesto, è caratterizzato da un'alterata sequenza e presenta un'eccessiva intensità e frequenza. È molto importante riuscire a distinguere questo tipo di comportamento perche i soggetti che ne sono affetti presentano notevoli difficoltà di apprendimento e mal si adattano a qualsiasi tipo di cambiamento. Una volta stabilito che ci si trova di fronte a un animale con un comportamento patologico, è indispensabile impostare una corretta terapia comportamentale. Un cane normale necessita solo di un corso di educazione/obbedienza. I proprietari hanno bisogno in questo caso di consigli per imparare a leggere e interpretare correttamente il linguaggio posturale del loro animale, in modo da riuscire a comunicare efficacemente con lui. Un cane ammalato necessita invece di una terapia comportamentale e di un eventuale supporto farmacologico. I corsi di obbedienza e la terapia comportamentale sono due cose ben differenti. Con i primi si insegna al cane a obbedire ad alcuni comandi e non si presta attenzione allo stato mentale dell'animale. Un cane può imparare a sedersi perfettamente, ma rimanere ugualmente ansioso o timoroso. Viceversa, la terapia comportamentale valuta attentamente lo stato emozionale dell'animale e si pone come obiettivo quello di insegnare al cane ad affidarsi al proprietario per ricevere da lui ogni direttiva.
MODIFICAZIONI COMPORTAMENTALI
L'obiettivo del programma di modificazioni comportamentali è di fare in modo che si stabilisca una chiara e corretta comunicazione fra il proprietario e il suo cane. È però necessario cercare di semplificare le cose per fare sì che il proprietario possa far rientrare fra le sue normali attività quotidiane ogni nuova indicazione fornita dal terapista. Le modificazioni comportamentali insegnano al cane a guardare il proprietario per sapere cosa fare; il proprietario, dal canto suo, deve dare al cane dei feedback positivi (carezze, cibo, parole d' approvazione) ogni volta che l'animale manifesta un comportamento appropriato. Il proprietario deve regolarmente dire al cane cosa fare, invece di dirgli cosa non deve fare. I comportamenti indesiderati devono essere prevenuti, ignorati o interrotti. Ignorare i comportamenti indesiderati manifestati dal cane è una forma di punizione passiva molto efficace, ma che richiede molta pazienza e comporta un peggioramento nella fase iniziale dato che il cane, prima di abbandonare un determinato comportamento, continuerà a ripeterlo. Per interrompere invece un comportamento inappropriato si deve insegnare al cane a guardare il proprietario per sapere cosa deve fare (esercizio del look: il comando del look andrà associato al nome dell'animale stesso). Quest'esercizio serve per ottenere l'attenzione del cane. Subito dopo si chiederà al cane di fare qualcosa (per esempio sedersi), ricompensandolo immediatamente per questo comportamento corretto. È di fondamentale importanza interrompere il comportamento nella fase iniziale della sequenza. Se però l'animale è già in uno "stato di emergenza", non sarà in grado di guardare il proprietario. In questo caso, il proprietario dovrà allontanarlo immediatamente.
Nelle tecniche di modificazione comportamentale ci si avvale molto spesso del rinforzo positivo che può essere costituito da bocconcini speciali, carezze, gioco, parole di approvazione, eccetera, e serve per incrementare la probabilità, la frequenza e l'intensità di un determinato comportamento. Ricompense consistenti vengono uti1izzate ogni volta per insegnare al cane nuovi comportamenti; ricompense intermittenti servono invece per mantenere un comportamento desiderato. È importante incoraggiare il cliente a ricompensare ogni comportamento corretto manifestato dal cane, compresi quelli addottati spontaneamente.
Lo scopo della punizione è al contrario quello di interrompere un comportamento ed evitare che si ripeta in futuro (componente appresa). La maggior parte dei proprietari non sa punire il proprio cane in modo appropriato. Infatti, affinché sia efficace, la punizione deve essere applicata con coerenza, giusta intensità e al momento opportuno. Alcuni animali imparano a manifestare il comportamento inappropriato in assenza del proprietario, in quanto hanno associato la punizione alla presenza di quest'ultimo. La punizione inoltre non insegna un nuovo comportamento all'animale. Prendiamo, per esempio, la parola "No!". Molto spesso le persone impongono agli animali tutta una serie di "no" (non saltare, non salire, non tirare, eccetera); questa parola finisce così per perdere di significato e di specificità per l'animale. Il "No!" può essere utilizzato per interrompere un comportamento, ma deve sempre essere seguito da un'altra richiesta (per esempio "Seduto", "Vieni", eccetera).
TERAPIA FARMACOLOGICA
Il ricorso a un supporto farmacologico viene valutato in base alla gravità del caso, alle esigenze pratiche dei proprietari e alla loro disponibilità nei confronti di questo tipo di intervento. La terapia farmacologica serve per ridurre l'ansia, senza interferire sulle capacità di apprendimento, e per diminuire la reattività senza indurre sedazione. Tutto ciò dà al proprietario una più ampia finestra di opportunità di intervento. Il farmaco tuttavia non insegna nulla all'animale, ma rappresenta solo un mezzo per ottenere in un minor tempo eventuali miglioramenti. Dato che la durata della terapia farmacologica va da sei mesi a periodi molto più lunghi (in certi casi per tutta la vita dell'animale), prima di intraprendere ogni trattamento sarà necessario sottoporre l'animale a una serie di esami emato-biochimici per accertarne lo stato sanitario. Se un paziente non risponde a un tipo di farmaco non significa che non esistano altre alternative farmacologiche. In genere, i farmaci più utilizzati in questo settore sono gli antidepressivi triciclici (clomipramina, aitriptilina, ecc.), gli inibitori del reuptake selettivo della serotonina (fluoxetina, fluvoxamina, ecc.), le benzodiazepine (diazepam, alprazolam), gli inibitori delle monoaminossidasi (selegilina, ecc.).
ANSIA DA SEPARAZIONE
La prof.ssa Frank ha poi fatto il punto sull'ansia da separazione, sottolineando come i criteri per la diagnosi di questo problema comportamentale differiscano da paese a paese. In Francia, per esempio, si dà molta enfasi all'iperattaccamento nei confronti di una sola persona. L'ansia da separazione deriva dalla persistenza di un attaccamento primario. I sintomi compaiono prima della pubertà e si ha la persistenza di comportamenti infantili. Negli Stati Uniti e in Canada, il termine di "ansia da separazione" viene spesso utilizzato in modo improprio. In ogni caso, secondo gli studiosi di questi Paesi, il problema si presenta in seguito all'allontanamento dall'animale di uno qualsiasi dei suoi proprietari. L'animale manifesta sintomi fisici o comportamentali riferibili a uno stato di sofferenza solo in concomitanza con la reale o virtuale assenza del proprietario. I principali sintomi clinici sono salivazione, eliminazione inappropriata, vocalizzazioni, distruzione, granuloma da leccamento. Non appena il proprietario si appresta a uscire, compaiono tutta una serie di comportamenti correlati a uno stato ansioso quali iperattività, aumento dello stato d'allerta e dell'attività d'esplorazione, ansimare e in certi casi anche vomito, diarrea. Molto spesso, questo problema comportamentale può essere scatenato da un evento traumatico verificatosi quando l'animale era solo (suono allarme, temporale, ladri), o da precedenti esperienze di abbandono (cani provenienti da canili oppure randagi), o ancora può essere legato a variazioni nella routine quotidiana. Sembra inoltre che alla base ci siano anche alterazioni neurochimiche (a livello di recettori o di neurotrasmettitori).
I soggetti con ansia da separazione sono maggiormente esposti a sviluppare altri disturbi su base ansiosa. Per quanto riguarda il trattamento di questo disturbo comportamentale, oltre alle modificazioni comportamentali viste in precedenza, è di fondamentale importanza cercare di rendere al cane tutto più chiaro e prevedibile. La prevedibilità infatti riduce l'ansia. Può inoltre essere utile il ricorso a un supporto farmacologico che prevede l'impiego di antidepressivi triciclici come la clomipramina (eventualmente associata per brevi periodi alle benzodiazepine se esiste anche una componente di panico) o inibitori del reuptake selettivo della serotonina (per esempio fluoxetina). In questo tipo di disturbo comportamentale la durata del trattamento farmacologico è piuttosto lunga e sono assai frequenti le recidive. La prof.ssa Frank sconsiglia l'impiego di una gabbia per contenere il cane quando il proprietario non è in casa, in quanto questo tipo di intervento non costituisce una terapia e non risolve minimamente lo stato d'ansia e di disagio dell'animale.
Questo tipo di problema comportamentale, al di là di come viene classificato nei diversi Paesi, può avere profonde ripercussioni sul legame uomo-animale e sul benessere dell'animale stesso.
Milano, 25 maggio 2003
Giornata sui "Problemi comportamentali del cane e dei gatto".
Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Milano.